Sono giorni complicati, resi ancor più confusionari da teorie contrastanti e da un ritorno dell’inverno proprio adesso che il calendario segna primavera.
Non nego che da qualche settimana la voglia di scrivere sul blog è venuta meno: tutto ciò che appartiene al pre-emergenza appare già vecchio e talvolta superfluo. Resta comunque il fatto che questa situazione sia ricca di spunti di riflessione da tanti punti di vista: scientifico, ambientale, psicologico: quando ne usciremo e come? Ma c’è un’altra domanda, che da geografo e appassionato di clima e meteo, mi viene da fare: come dobbiamo rivalutare il nostro rapporto con l’ambiente? Non è una domanda nuova, lo so, eppure alla fine resta sempre senza risposta.
Sembra evidente che la crisi climatica, documentata da tutti gli scienziati, non sia stata in grado di smuovere le politiche delle multinazionali né le coscienze di tutti noi, o almeno non del tutto. Adesso è accaduto qualcosa di più immediato e violento. Molto più percepibile dello scioglimento di un ghiacciaio o dell’aumento della temperatura globale che pure implicherebbero scelte politiche importanti.
Dopo non potrà più essere come prima. Non credo alla teoria del virus creato in laboratorio. Al contrario, credo negli studi che ne evidenziano una maggiore diffusione a causa della deforestazione, della promiscuità tra uomo e animali selvatici, della produzione massiva. In una parola, al consumo “drogato” e allo sfruttamento dell’ambiente. A una eccessiva pressione ambientale non può che seguire un’esplosione che decomprime il sistema per renderlo maggiormente sostenibile. Ce lo insegnano storia, geografia ed economia. La sfida sarà accorgersi di questa frattura. Temo però che per ripartire si pomperanno ancor di più i motori, per produrre produrre produrre.
Non sono qui a proporre soluzioni, non ne avrei neanche le competenze. Ma solo a riflettere e constatare che questa è un’occasione per rivedere il nostro stile di vita.
Tornando al clima, qualche giorno fa è stato ipotizzato un corridoio geografico preferenziale dell’epidemia di Covid-19: dalla Cina agli USA, passando per Iran ed Europa, il virus sembra aver attecchito meglio in Paesi e zone con un clima temperato (temperature tra 7 e 11 °C). Queste teorie tuttavia sembrano abbastanza semplificatorie, vista la presenza di microclimi in ognuno di questi Paesi e la diffusione del virus anche fuori da questa fascia. Più interessante invece l’aspetto legato all’inquinamento come motore di diffusione del virus. Gli studiosi avevano già evidenziato questo aspetto prima del Covid-19. Nelle zone altamente inquinate le particelle di PM10 possono fare da ponte e tenere maggiormente sospese quelle del virus, facilitandone la trasmissione. Inoltre, è appurato che in zone altamente inquinate gli apparati respiratori delle persone siano di per sé più esposti e fragili di fronte a una minaccia. Non solo quella del Covid.
Nonostante tutto, le nuvole continuano il loro balletto quotidiano, insensibili alle vicende umane. A tratti sono anche ciniche: lasciano cadere la neve sulle colline, a fine marzo. E noi, che siamo già abbastanza in paranoia in questa situazione di emergenza, pensiamo: ma cosa succede?
Propongo allora di svagarci un po’ guardando fuori dalla finestra: a chiedersi che tipo di nuvola è quella, da dove proviene oggi questo vento, oppure il “perché” di questo freddo primaverile… se impariamo a osservare l’atmosfera a scala globale capiamo che tutto ha una sua spiegazione, utile a farci sentire parte di un sistema. Un sistema a cui, che piaccia o meno, siamo legati. Capire un po’ i capricci del meteo è solo uno dei tanti modi per riavvicinarsi alla natura ma probabilmente è il più semplice: non richiede sforzi, è gratis, ed è uno spettacolo che va in onda ogni giorno, anche in tempi di coronavirus. Basta affacciarsi alla finestra e guardare in alto con nuovi occhi per iniziare a fare la nostra piccola parte nel mondo.
Lorenzo Pini