Un focolare acceso in mezzo a montagne di neve, un sussulto di presenza umana tra le nuvole basse sospinte dal vento. Così mi appare, dopo una serie infinita di tornanti, San Pellegrino in Alpe, il paese abitato più alto dell’Appennino. Ha 11 abitanti ufficiali, che scendono a 6 in inverno. Si trova nel comune di Castiglione di Garfagnana, provincia di Lucca, a 1525 mt di altitudine, in un punto panoramico di eccezionale bellezza. Il piccolo nucleo di edifici si sviluppa attorno all’Ospitale (conosciuto anche come Santuario), la costruzione più antica, eretta lungo questa strada d’alta quota che nel Medioevo era transitata da mercanti, pellegrini e banditi.

San Pellegrino in Alpe è un luogo di crinale, ventoso, esposto al libeccio del vicino Tirreno quanto al grecale del versante emiliano. La neve cade da ottobre ad aprile e può raggiungere anche i due metri di altezza, anche “se gli inverni non sono più come prima” – dice Pacifico, detto Pacetto, 88 anni, proprietario dell’Albergo-ristorante Appennino, sorto dove già nel Duecento esisteva la vecchia osteria del Duca d’Este.

Oggi, venerdì 11 dicembre, è tornato un timido sole dopo una settimana di nevicate ininterrotte. Al suolo si misurano circa 70 cm, “ma ne è caduta almeno un metro” dice il conducente dello spazzaneve, che ha appena completato il suo lavoro e ora si ferma a fare due chiacchiere con Pacetto e il figlio Paolo, il reale gestore dell’albergo e del bar-ristorante.

Compreso il sottoscritto, oggi siamo in 4 a godere di questa atmosfera incantata, che mi dicono aver ispirato anche il poeta britannico Shelley e Giovanni Pascoli. In effetti, quando si entra nel breve tunnel che conduce all’ingresso della chiesa per poi sbucare sul piazzale panoramico che affaccia sulle Apuane, la sensazione è quella di pace assoluta. Sprofondo nella neve fino alle ginocchia, accompagnato da un cane ben più agile.

I cartelli di informazione turistica segnalano almeno un paio di cose da vedere e da fare. Dentro all’Ospitale si può visitare il museo etnografico della civiltà contadina, intitolato al fondatore Luigi Pellegrini, mentre attorno al paese un cammino ad anello compie il cosiddetto “Giro del Diavolo”, trekking tra boschi di faggio. Se si vogliono acquistare dei prodotti tipici l’alimentari La Sorgente ha prodotti eccellenti e artigianali, come L’Archibugio alpestre, un liquore ottenuto con erbe aromatiche.

Mi fermo nel bar a parlare con Paolo. La curiosità che più mi colpisce è di carattere geografico. Il confine tra Modena e Lucca taglia in due il Santuario e passa in mezzo allo stesso bar. Così pizzette e paste sono in Toscana, mentre la cassa è in Emilia. Un fatto che ha creato non poche contraddizioni in questo momento di regioni gialle, arancioni e rosse.
Sembra che il sole resista ancora per poco e seguo il consiglio degli abitanti: “Sali ancora con la macchina verso il valico, poi parcheggia e vai a piedi sul crinale. Il paesaggio lì è straordinario. Apuane, Cusna, Prado a ovest, Rondinaio e Cimone a est. E a volte si vedono anche le navi ormeggiate nel porto di La Spezia”.


Il valico, dove si trova il confine con la provincia di Modena, ha un nome ben preciso: Passo del Lagadello. Lascio qui l’auto e quando, con fatica nonostante le ciaspole, raggiungo i pascoli sommitali, una nube avvolge il paesaggio e mi ritrovo in una situazione di “whiteout”, ovvero l’incapacità di distinguere i confini e le forme. Il suolo innevato si confonde con il cielo, ogni passo è incerto e ho la sensazione di girare a vuoto.

Aspetto che la nebbia passi e intanto mi godo lo spettacolo. Il silenzio è assoluto, la neve fresca alta almeno un metro e mezzo. Sono a 1600 mt di altitudine, quanto basta perché la temperatura si mantenga sotto lo zero di qualche grado, ma senza vento si sta più che bene.


Quando la nebbia si dirada posso veder emergere dalla neve gli abeti stracarichi e appesantiti, una visione surreale. Poco più in là le tracce di una “lepre variabile”, quella che in inverno diventa bianca, bucano il pendio per sparire oltre il crinale.

Vorrei seguirle, ma la fatica si fa sentire. La neve è troppo profonda e il sole sta calando. Al rientro mi fermo di nuovo in paese per un saluto a Pacetto, che fa su e giù per l’unica strada. “Aspetto che passi qualcuno, cosa faccio sennò tutto il giorno?” Gli dico che stanotte è in arrivo una nuova nevicata. “E noi la prendiamo, cosa dobbiamo fare?”
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Testo e foto: Lorenzo Pini
1 commenti
Lorenzo, bell’articolo, ma soprattutto un bel racconto. Mi sarebbe piaciuto moltissimo aver vissuto questa bella esperienza, come hai fatto tu.
A presto