In questo primo numero di LitteraTrip tratteremo del legame intimo e intrinseco, originario e atavico dell’uomo con la terra e le sue manifestazioni “atmosferiche”, nel senso più ampio che questo aggettivo possa voler intendere.
Siamo nel V secolo a.C. in Grecia, il periodo della grande età di Pericle: sulla scena teatrale emerge Sofocle, uno dei più alti tragediografi insieme ad Eschilo e Euripide. Si dice che scrisse oltre cento tragedie, ma ne rimangono oggi solamente sette. Ed è proprio una tra queste l’oggetto del nostro interesse: l’Edipo re.
Il re è la sua terra
La tragedia si apre con un dialogo tra Edipo, re di Tebe appena liberata dal mostro della Sfinge, e il sacerdote di Zeus: «la dea della febbre, la peste maligna, è piombata sulla città e la tormenta», annuncia disperato quest’ultimo. Viene allora consultato, da Creonte cognato di Edipo, il santuario pitico di Febo: occorre «espellere, perché non divenga immedicabile, l’impurità (miasma)». È questo il sacro verdetto.

Quel che è noto al pubblico spettatore, ma che i personaggi della tragedia ancor non sanno, è che l’impurità causa della peste, della malattia della terra e del popolo, è Edipo: emerge qui la grandezza delle tragedie sofoclee, ossia la complessità dei personaggi – vittime e carnefici di se stessi, profondi e ricercati, psicologicamente dinamici e rovesciantesi, mutevoli, salvatori e dannatori allo stesso tempo; sono un doppio racchiuso in un unico.

Edipo è colui che ha salvato Tebe dalla tirannia della Sfinge ma è colui che ha condannato Tebe all’epidemia di peste, divenendone re (tyrannos): sì, perché nei miti antichi e nei racconti delle origini, il re è intimamente connesso con la sua terra, il re è la sua terra.
Edipo è colui che ha salvato Tebe dalla tirannia della Sfinge ma è colui che ha condannato Tebe all’epidemia di peste, divenendone re (tyrannos): sì, perché nei miti antichi e nei racconti delle origini, il re è intimamente connesso con la sua terra, il re è la sua terra. Tant’è vero che Edipo, ignaro della maledizione che l’ha colpito, chiede a Creonte come possa avvenire la purificazione e quest’ultimo risponde:
«Dobbiamo bandire i colpevoli o pagare con la morte: è questo il sangue che tormenta la città»
come a voler dire che la sanità e la fertilità della terra dipendano dalle qualità fisico-morali dell’uomo, in particolare, del re che la regge e governa. E nell’antichità (e fin tutto il medioevo), proprio questa era la credenza. Ecco che allora, per far rinascere Tebe a vita nuova, sanarla dalla peste, far maturare i frutti della “terra gloriosa” (come canta il coro alla fine del primo episodio) occorre estirpare il male.

Una terra febbricitante
Uomo-microcosmo è specchio simbiotico del mondo-macrocosmo. Basti pensare, mutata mutandis, a come lo stesso topos letterario sia ripreso e messo in scena da Shakespeare nel suo Macbeth, atto II scena III quando, prima che venga scoperto l’omicidio del re Duncan, compiuto nella notte, Lennox descrive: «È stata una nottata furibonda. Là dove alloggiavamo sono stati spazzati i comignoli dal vento; e nell’aria, si dice, si sono uditi gemiti, strane grida di morte. […] Tutta la notte ha urlato l’uccello delle tenebre. Dicono che la terra abbia tremato, come febbricitante.» La terra è malata perché il suo custode è stato violato, il re è stato ucciso. Il Paradiso terrestre si è mutato in giardino sterile, proprio così come il vigore del corpo regale si è annullato con la violenza della morte.

Una profezia nefasta
Tornando alle vicende del nostro Edipo re, l’unica possibilità di sanare la terra tebana sarà eliminare quel male che l’affligge, quel corpo-untore che la contagia e la persegue: sarà così che, in un continuo crescendo di pathos, si andrà a scoprire che la causa dei mali ambientali ed epidemici sarà Edipo stesso poiché, tempo orsono, ignaro del significato delle sue azioni, uccise un uomo e sposò la sua vedova, dalla quale ebbe figli: questi si rivelarono essere Laio, re di Tebe, e Giocasta, rispettivamente padre e madre di Edipo, da lui mai conosciuti e sempre ignoti. Al padre Laio era infatti stato predetto che il figlio nato l’avrebbe ucciso – per scongiurare la nefasta profezia delfica, allora, Laio fa abbandonare Edipo, il quale vien trovato dai pastori di Corinto che lo portano al loro re Polibo.

Recandosi a Delfi, ad Edipo vien profetizzato che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre: ritenendo terribile un futuro simile e credendosi figlio di Polibo, scappa da Corinto. Giunto in Focide, si imbatte in un gruppo di uomini e, litigando per una precedenza di una strettoia, uccide Laio – il padre, diremmo noi oggi, “biologico”. Edipo giunge così a Tebe, dove scioglie l’enigma della Sfinge liberando la città dal mostro: ottiene così il regno e la mano della regina Giocasta, sua madre “biologica”. Ecco così avverata la profezia nefasta, ecco così contagiata la terra con atti immondi e impurità – certo, Edipo ne era ignaro: ma è altrettanto certo che Sofocle propone al grande pubblico una ancor più grande tragedia, proprio perché il fato divino non abbandona gli eroi greci, nella buona e nella cattiva sorte: gli uomini si trovano dunque ad essere essi stessi artefici delle loro tragedie, complesse e complicate.
Ad Edipo, allora, perché Tebe ritrovi la sua salute, cessi carestia e siccità, malattia e morte, non rimane altro che andar in esilio. Superfluo dire che la figura di Edipo, interessante ed enigmatica, continuerà ad affascinare nei secoli successivi le menti di figure come Seneca, P. Corneille, Voltaire, S. Freud, H. von Hofmannsthal, J. Cocteau e P.P. Pasolini – solo per citarne alcuni.
…Going on TRIP!
Il clima di Tebe e della Beozia
Tebe, la “città dalle cento porte” secondo Omero, oggi rinonimata Thiva, è oggi una moderna cittadina affondata tra le aride colline del sudest della Beozia, della quale è il capoluogo. Il clima della Beozia ha una spiccata escursione termica per la conformazione speciale della regione, cinta da monti che limitano l’influenza del pur vicino mare. Le precipitazioni oscillano tra i 500 e i 700 mm, con massimi durante i mesi invernali.
Nella pianura di Copaide il caldo è spesso malsano a causa delle esalazioni dei tratti paludosi. Vi soffia inoltre un vento caldo, proveniente dai monti Parnaso e Elicona.
Curioso! All’aria pesante di Tebe (crassus aer) Cicerone attribuì speciali influenze sul carattere degli abitanti, definiti ottusi di mente e pigri rispetto agli spiritosi e svegli ateniesi, che invece beneficiavano di un’aria migliore.
Consigli di viaggio
Tebe una centro di più di 35 000 abitanti a circa un centinaio di chilometri da Atene: la si raggiunge facilmente in treno, dalla stazione KTLES (odòs – direzione – Liossion 260). Con stradine strette e tortuose, gode di una posizione vicina al mare che la rende una meta turistica per le vacanze estive – tutt’intorno, nei piccoli villaggi che precedono Tebe, si può gustare la cucina locale. La città annovera tra i suoi gioielli uno dei musei archeologici più impostanti di Grecia (Archeological Museum of Thebes), che racconta la storia della città a partire dalla mitologica fondazione da parte del re Cadmo (i resti dell’antico palazzo cadmeo sono oggi visibili).